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La fontana del Facchino, che oggi possiamo vedere in via Lata, quella brevissima stradina che unisce corso Umberto a piazza del Collegio Romano, originariamente era addossata al palazzo De Carolis (oggi del Banco di Roma) ma all’angolo su via del Corso. Da qui fu spostata sul lato attuale nel 1872. Luigi Vanvitelli, che nel 1751 fece una perizia del palazzo De Carolis attribuì la scultura della fontanella a Michelangelo Buonarroti. Questa paternità, che per molti è infondata se non addirittura una leggenda, ci sembra invece piuttosto attendibile data la nota serietà del Vanvitelli e la cura con cui svolse questa perizia scritta, molto dettagliata, nel corso della quale fece anche un particolareggiato inventario della varie pitture che ancora oggi esistono nel palazzo, le cui attribuzioni sono esatte. Questa fontanella del resto venne inserita su un lato della facciata del palazzo di una nobile famiglia fiorentina dell’epoca, per la quale lo stesso Michelangelo scolpì la tomba di uno dei suoi più importanti componenti. Pare che un tempo vi fosse un’iscrizione latina annessa alla fontana che fu riportata da Andra Belli nel 1859 e che, tradotta, pare dicesse: “Ad Abbondio Rizio, incoronato sotto le pubbliche grondaie, espertissimo nel legar bagagli e caricarseli sulle spalle, che trasportò quanto volle, visse quanto potè, e mentre portava un barile di vino dentro e un altro fuori, senza volerlo morì”. Per il D’Onofrio, invece, il facchino è da attribuire al pittore Jacopo del Conte che aveva “la sua casa sopra la fontana” e che sia per la fama che godette a Roma nel periodo (in cui l’acqua Vergine fu condotta a via del Corso) compreso fra il 1587 ed il 1598, sia per l’ispirazione che muoveva la sua vena artistica di origine michelangiolesca, spiegherebbe l’erronea attribuzione del Vanvitelli al maestro fiorentino. Ma si spiegherebbe anche il motivo del soggetto abitando numerosi facchini accanto all’abitazione del pittore in via Lata. Per quanto riguarda l’identificazione del “facchino” con questo Abbondio Rizio, si tratta probabilmente di una delle tante fantasie popolari tra le quali si fa addirittura il nome di Martin Lutero. In ogni caso doveva trattarsi semplicemente di uno dei tanti acquaioli impropriamente soprannominato “facchino”. Questo termine perchè in parte era questo che il nostro povero amico faceva per vivere: andava a riempire di notte botti e botticelle dell’acqua abbondante della fontana di Trevi; di giorno andava ad offrirla per le strade e le case risparmiando alla gente, dietro modesto compenso, la fatica e la scomodità di rifornirsi. Il “facchino” andava a riempire le sue botti nottetempo per evitare probabilmente di pagare la tassa sull’acqua. Infatti per attingerla all’antica fontana di Trevi, ad esempio, si doveva pagare, come risulta da un documento del ‘500 “Che qualunque acquarolo che piglia acqua alla fontana di Trevi de continovo tutto l’anno, paghi in tutti julii cinque: item, che tutti cavalli et muli che caricano acqua alla fontana, paghi baiocchi cinque per ciasche bestia”. Questo fa capire come i cittadini romani avessero bisogno d’acqua, nonostante le innumerevoli fontane che vi erano a Roma. La necessità si spiega con un evento storico: quando nel 537 i Goti non riuscirono ad espugnare la città (difesa dal quel brillantissimo generale bizantino di nome Belisario) interruppero tutti gli acquedotti. In seguito si cercò di riattivare alcune di quelle condutture, ma si trattò di opere insufficienti e quindi, i romani, per lavarsi e bere, dovettero usufruire dell’acqua del Tevere, come agli inizi della storia di Roma. Oppure usufruivano delle poche fontane che avevano acqua. Ecco allora che nacquero i “facchini” portatori d’acqua o “Acquaroli”. Questo mestiere durò fino al 1590 circa. Già da qualche anno prima gli acquaroli avevano cominciato a scomparire, data la nuova abbondanza d’acqua riportata a Roma da Gregorio XIII (1572-85).
Via Lata
Zona
rione Pigna
Autore
Jacopo del Conte (1587)
Committente
Jacopo del Conte
Piatti del giorno
Under construction
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